La parola di Dio di questa domenica ci parla della condizione del lebbroso nell’Antico Testamento e della guarigione di un lebbroso da parte di Gesù e il brano del Vangelo, tratto dall’evangelista Marco , nella essenzialità del racconto riceve grande luce dalle parole ” ne ebbe compassione” le quali mentre svelano il mistero di Gesù il Cristo, offrono alla nostra contemplazione un tratto commovente della sua umanità. U manità attraverso la quale egli ci ha redenti e allo stesso tempo presenta un modello sul quale costruire la nostra vita a somiglianza di Lui, che ha ascoltato ed accolto nell’infinità del suo amore, ogni uomo anche il più infimo della scala sociale o morale. Ma cerchiamo di inquadrare il contesto di questa pericope. Veniva considerata lebbra qualsiasi malattia della pelle che si manifestasse con macchie bianche, pustole o altre manifestazioni esterne persistenti. Per evitare un eventuale contagio e in base ai rigidi principi di purità rituale richiesti dalla religione ebraica ai tempi di Gesù, il lebbroso veniva escluso da qualsiasi attività sociale e dai contatti con le persone sane. I lebbrosi erano costretti a rimanere al di fuori dei centri abitati, dovevano velarsi il volto come per il lutto e se qualcuno si avvicinava loro dovevano avvertirlo della loro triste condizione e gridare “Impuro, impuro!” (Lv 13,45, che fa parte della prima lettura di questa domenica). Si trattava davvero di una condizione di “morti viventi”, drammaticamente sottolineata dalla degenerazione delle loro membra dovuta alla malattia. Per di più, secondo la mentalità biblica, essa veniva vista come il castigo per peccati particolarmente gravi, quindi sul malato gravava anche il peso del senso di colpa.
Il lebbroso di questo brano di Vangelo sa bene tutte queste cose eppure osa avvicinarsi a Gesù. Riconosce la superiorità del Signore poiché si inginocchia davanti a lui e lo supplica. Chiede di essere purificato, cioè di vedere la sua pelle e la sua carne integra, ma anche di essere perdonato dai suoi peccati, liberato da tutto ciò che lo tiene lontano da Dio e dagli uomini.I n quattro verbi vediamo l’azione di Gesù nei confronti della lebbra. Gesù ha compassione di lui, letteralmente “ha viscere di tenerezza”. Come in altri episodi del vangelo di Marco, Gesù si lascia coinvolgere dalla situazione di miseria in cui si trova l’uomo. In alcuni codici invece della compassione è scritto che Gesù si adirò. Egli si sarebbe dunque sdegnato e avrebbe lottato contro il male. Gesù non guarda alla lebbra, non ne prova vergogna o repulsione come gli altri, ma compassione. Il verbo greco splanchnízomai indica un movimento viscerale, Gesù è scosso nelle viscere come una donna partoriente: è il Dio che ama e si commuove come una tenera madre per i suoi figli (cfr. Is 49,15). Non è solo compassione nel senso comune del termine (provare pena) ma un autentico compatire( patire-con), entrare in comunione con l’altro in una profonda condivisione interiore, Gesù si lascia ferire dalla sofferenza del malato, manifesta una sorta di ira (riportata da alcuni codici in greco) per la situazione di quell’uomo senza colpa, reietto e condannato in nome di Dio. Per questo, a guarigione avvenuta Gesù lo manderà dai sacerdoti del tempio per l’offerta prescritta come testimonianza per loro.
Alla compassione seguono i gesti: tese la mano, lo toccò. Come il Dio dell’Esodo tendendo la mano manifesta la sua autorità, e la sua compromissione, il toccare è la contaminazione dell’amore.
Colui che nessuno poteva e voleva toccare si sente toccato; il toccarsi, stringere la mano, l’abbraccio, lo sfiorarsi non è soltanto un linguaggio comunicativo ma una esperienza che penetra la pelle per entrare nell’anima. Il tocco è una porta che si apre tra le persone, uno spiraglio che si schiude al mondo, una energia che permette di riprendere la relazione con se stessi e con gli altri.
Annullando la distanza tra il puro e l’impuro, Gesù risana l’uomo nella condivisione; ci mostra che l’uomo è contaminato quando rifiuta la misericordia e si separa dall’altro. Gesù agisce sapendo bene la portata dei suoi gesti e svela la sua libertà di fronte alla religione e ai suoi dettami: se esprime vita e aiuta a vivere da persone libere o se diventa impedimento e schiaccia le persone con precetti ossessivi.
L’altro verbo utilizzato è “lo toccò”. Gesù sapeva bene di toccare un lebbroso e che questo gesto lo avrebbe reso impuro. Eppure lo compie, prendendo su di sé la malattia, il peso del peccato, l’emarginazione di quell’uomo.
Infine Gesù parla, afferma la sua volontà di guarire l’uomo. Questo modo di fare (gesto e parola) è stato ripreso nella celebrazione dei sacramenti. E’ veramente bello questo Vangelo, che ci mostra un Gesù pieno di compassione verso i nostri drammi. Ma anche consolante perché mostra come tutti, proprio tutti, possano diventare annunciatori di Gesù. Non solo quelli che hanno un passato limpido, non solo quelli immuni da sbagli… Se un lebbroso guarito può portare la bella notizia, non c’è nessuno che, dopo essere stato sanato da Gesù, possa considerarsi indegno di diventare suo messaggero!
Si tratta anche per noi di avvicinarci a Cristo perché ci guarisca nel cuore e perché ci dia la forza di accostarci con amore ai malati, come ha fatto Lui. Concludiamo la nostra riflessione invocando la Misericordia Divina con le parole di santa Faustina: ” Ricorro alla Tua Misericordia,o Dio benigno, a Te che sei il solo buono. Benchè la mia miseria sia grande e le mie colpe numerose, confido nella Tua Misericordia perché sei il Dio della Misericordia e da secoli non si è mai udito,nè la terra nè il cielo ricordano che un’anima, fiduciosa nella Tua Misericordia, sia rimasta delusa. O Dio di pietà, Tu solo puoi perdonarmi e non mi respingerai mai quando ricorrerò pentita al Tuo Cuore misericordioso, dal quale nessuno ha mai ricevuto un rifiuto, fosse pure stato il più grande peccatore” (Diario, 1730)